Sinisgalli e Vicari
Sinisgalli e Vicari nell’età della luna
“Caro Fuisti, io non so chi tu sia …, ma ti
ringrazio di cuore per quanto hai scritto sui Campi Elisi e sulla nuova
poesia. Con viva amicizia, tuo Leonardo Sinisgalli”
Fuisti era Giambattista Vicari, che si firmava così nelle
recensioni letterarie che uscivano sul “Meridiano di Roma” di Cornelio
di Marzio, sulle cui pagine aveva riconosciuto il valore di Penna,
Montale, Sinisgalli e della loro poesia “ricca d’ispirazioni autonome”,
contro la poetica di mestiere (1).
Vicari, per la verità, non amava in particolar modo la poesia, tant’è
che di lì a poco passò a dirigere “Ansedonia” ( che divenne “Lettere
d’Oggi’), facendone una rivista di sola prosa.
Invitò a collaborare Sinisgalli, ma gli entusiasmi e i progetti di
collaborazione furono spenti e dispersi dalla guerra e anche la rivista
chiuse i battenti nel 1943 (per riaprirli brevemente nel ‘46-47).
Ma la stima tra i due era solida e riemerse dal coprifuoco negli
anni ’50. I quasi coetanei Sinisgalli e Vicari (1908 e 1909)
battezzarono nel 1953 due creature diversissime, ma entrambe inedite,
singolari e moderne rispetto al panorama italiano: “Civiltà delle
Macchine” e “il Caffè”, la prima anche più moderna della seconda,
compresa la veste grafica, fra le cui pagine non si sa dire se siano
più affascinanti i disegni di Cagli e Rotella o quelli delle strutture
cristalline del dichitene e i grafici delle geometrie non euclidee.
“Civiltà delle Macchine” aveva “lo spirito di un foglio
d’avanguardia e la serietà di un bollettino scientifico”, nel quale il
matematico Sinisgalli trovò la formula dell’armonia della descrirzione
del mondo delle macchine e di quello delle forme dell’arte che non
rinnegano la tecnologia.
Così, l’arte non solo non si isolava , ma faceva capolino nei territori
scientifici, a volte per descriverli, altre per immaginarli, e a fianco
dei rapporti su cibernetica e siderurgia si trovavano le tecnologie
patafisiche di Raymond Roussel e quelle tipografiche di Mallarmé.
Vicari, invece, col “Caffè”, rimase dentro la letteratura, ma cercò di
svincolarla dalle divisioni in generi, e superando il decennio del
neorealismo, scelse il terreno dell’eccentrico, arrivando a importare
in Italia alcune “avanguardie”, comprese quelle patafisiche e
oulipiane.
Furono entrambi ottimi organizzatori culturali, sensibilissimi
all’illustrazione e disegnatori in proprio e soprattutto non amarono
mai farsi sedurre dal dilettantismo e dall’improvvisazione: Vicari
rifiutò i significati stabiliti e consueti e sondò il grottesco, la
parodia, il satirico e il gioco che non aveva a che fare col diletto,
così come Sinisgalli rifiutò la figura del poeta dilettante che “non
riesce a manipolare i calcoli analogici, si commuove”.
Si rincontrarono nell’ ”età della luna”, quando la maturità comincia a
lasciare il posto alla vecchiaia. E Vicari pubblicò sul” Caffè” alcune
poesie di Sinisgalli che poi entrarono nella raccolta così intitolata
(2).
Seguivano una Musa dall’espressione simile, “Musa decrepita” , il cui
riso era una smorfia. Per Sinisgalli bisognava combattere” l’equivoco
del maledettismo, dei ladri di fuoco, dei figli del Sole”, così come
per Vicari si trattava di diffidare ”del moralismo diretto, del
patetico esplicito, del lirismo, che automatizzano l’ispirazione”.
Si poteva arrivare così a una letteratura ‘spuria’, basata sul
principio del plagio e della parodia, che Sinisgalli derivava dalla
matematica:” prima capire e copiare, poi inventare” e che stava alla
base di molta scrittura del “Caffè”, nella linea del Pierre Menard
autore del Chisciotte di Borges.. La letteratura prediletta da Vicari,
che sconfinava nella non-letteratura, che non trovava mai la sua misura
definitiva, con la smorfia dell’irrisione indispensabile per liberarsi
di ciò che s’era banalmente consolidato per tradizione, .giungeva
vicino a quella di Sinisgalli , che aveva dalla sua i principi della
matematica, in anticipo di secoli, rispetto alla letteratura, con la
scoperta dei numeri irrazionali e immaginari. Ma per entrambi si
trattava di individuare oltre alle forme le forze: per Sinisgalli
bisognava sviluppare una coscienza vettoriale più che numerica della
poesia; la sua formazione scientifica passava dalla matematica alla
fisica esprimendo la formula a+bj, dove a e b sono le quantità reali e
j e l’operatore immaginario, l’energia che produce l’alterazione.
E dal canto suo il letterato Vicari riconosceva che “tutta l’arte è un
fenomeno di permutazioni molteplici. Ma la logica combinatoria non
poteva essere sufficiente:” illudersi di spingere il pedale di questi
meccanismi senza imprimervi anche un moto di accelerazione da cui deve
essere posseduto chi compie l’operazione porta a produrre soltanto
degli automatismi formali”. Poichè per Vicari si trattava di giungere
al “significato inatteso”:” rompere gli artifici, facendo uscire, dagli
strati fossili delle parole incatenate tra di loro nella pigra autorità
della tradizione, il contorno della cosa in sé”(3). Le parole
apparivano a entrambi come stratificazioni geologiche da liberare, da
irridere, da ricombinare: “rompere la compattezza, trovare una falla
nel lingotto, un fossile dentro il macigno, concepire il calcestruzzo”
(4).
Anna Busetto Vicari
(1) Fuisti, Sembra letteratura, Roma Istituto Grafico Tiberino, 1940
(2) Leonardo Sinisgalli , L’eta della luna, Mondadori, 1962.
San Pietro, “il Caffè, 1957,6
Pianto antico e Sabato santo a Manfredonia tradotte in inglese da
William Weaver, “il Caffè” 1961,4.
(3) Giambattista Vicari, Il significato inatteso, “il Caffè”, 2-3,1969
(4.) Leonardo Sinisgalli, L’immobilità dello scriba, Roma, 1960